Il festival

Presentazione 2026

Festival dell'Economia Trento 20 - 24 maggio 2026

Dal mercato ai nuovi poteri. Le speranze dei giovani

C’era un tempo in cui il mercato dettava legge. Gli economisti spiegavano che rappresentava la sintesi migliore non solo tra domanda e offerta, ma per l’intera architettura del mondo. I politici, o almeno buona parte di loro, ne teorizzavano l’efficacia. E i giornalisti, o almeno buona parte di loro, ne amplificavano gli effetti. Ancora una volta è andata diversamente. Il mercato, insieme alla globalizzazione, è clamorosamente tramontato lasciando spazio a nuovi poteri. In alcuni casi davvero nuovi, in altri frutto di grandi ritorni. Tra le novità c’è sicuramente la crescita impetuosa delle big tech, le multinazionali americane che hanno costruito imperi nelle tecnologie avanzate e che ora affrontano il banco di prova dell’intelligenza artificiale. La conferma si ha confrontando la classifica delle società a maggior capitalizzazione quotate a Wall Street. Negli ultimi 20 anni la rotazione è stata totale e clamorosa: i colossi della old economy hanno perso posizioni, dai gruppi petroliferi alle telecomunicazioni. Il loro posto è stato preso da società come Nvidia, Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon. In cinque, cresciuti a velocità straordinarie, concentrano oggi un valore complessivo vicino al Prodotto interno lordo dell’Unione europea (dati 2024), realizzando una concentrazione di ricchezza e potere senza precedenti.

Di sicuro oggi le big tech rappresentano un centro di comando formidabile. Insieme condividono le chiavi che aprono le porte degli sviluppi dell’intelligenza artificiale, decisivi per il futuro delle imprese e della vita di tutti noi. Più influenti di molti Stati. Un fronte, quest’ultimo, in movimento, simbolizzato dall’immagine delle oscillazioni del pendolo che in modo ormai evidente si sta spostando da Occidente a Oriente. L’Occidente deve fare i conti con l’irruenza del presidente Donald Trump, a partire dagli attacchi sempre più frequenti all’Europa, che a sua volta deve fare i conti con almeno tre punti di debolezza strutturali: la battuta di arresto dello sviluppo economico, l’andamento negativo degli indici demografici, la carenza di leadership adeguate. Sul fronte opposto autarchie come la Russia di Vladimir Putin e la presidenza di Xi Jinping in Cina sono la testimonianza di come la democrazia ha tante virtù ma anche il difetto di rendere ogni decisione complessa nei meccanismi di scelta e lenta nel passaggio dal dire al fare.

I numeri parlano chiaro. Quasi il 60 per cento dell’umanità vive in Asia. Il continente più vasto del pianeta ospita quattro dei cinque Paesi più popolosi (India, Cina, Indonesia, Pakistan) e metà di quelli con oltre 100 milioni di abitanti. India e Cina, in particolare, valgono il 35 per cento della popolazione mondiale, con ritmi di sviluppo neppure confrontabili con quelli europei. Nel caso indiano siamo intorno al 7-8 per cento l’anno. E, nonostante i dazi americani, le stime dell’Asian development bank dicono che nel 2026 l’Estremo Oriente crescerà in media del 3,9 per cento, con l’India sopra il 7 per cento e la Cina al 4,3 per cento. Esattamente come l’intero Sud Est asiatico, con punte del 6 per cento in Vietnam e nell’Asia del Sud. Per quanto riguarda l’Africa, si avvia a tagliare il traguardo dei 2,5 miliardi di abitanti entro il 2050, con un’età mediana sotto i 20 anni: oltre 50 economie diverse che, secondo l’Unione africana, può dare origine a un mercato unico proiettato fino al valore di 3.400 miliardi di dollari. Oggi saldamente presidiato dalla Cina, con l’ascesa di protagonisti come Russia, Turchia, India e, soprattutto, i Paesi del Golfo.

Il tutto nello scenario di una competizione internazionale sempre più polarizzata tra Stati Uniti e Cina, con la vecchia Europa che non riesce a trovare la strada. La caratteristica forse più inquietante è che è avviata verso un declino demografico continuo, solo in parte contrastato dall’immigrazione. La crisi delle nascite ha svuotato prima le età più giovani e ora sta erodendo la popolazione in età lavorativa, mentre aumenta solo quella anziana. Gli over 50 italiani, secondo dati Eurostat, saranno i primi in Europa ad effettuare il sorpasso sugli under 50, cosa che accadrà entro i prossimi cinque anni. Ecco perché occorre passare dalla consapevolezza dell’inverno demografico a politiche attive per contrastare la spirale negativa. La strada migliore è ridare ai giovani quella speranza di futuro che in molti hanno perso. L’obiettivo primario è farli tornare in Italia, contrastando l’emorragia che soltanto nel 2022-2023 ha portato 700 mila di loro, come ha documentato una ricerca del Cnel, a lasciare il Paese, quasi tre volte quelli che sono tornati. L’esigenza, anzi la necessità, è creare le condizioni affinché l’Italia e l’intera Europa diventino terra ospitale per le nuove generazioni, non Paesi per anziani. Lo dobbiamo ai nostri figli, ai nostri nipoti.

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